La Learning Region sceglie la cooperazione

L’apprendimento insegna a credere nella cooperazione e ad abbandonare il concetto di competizione
Una riflessione dei soci fondatori dell’allora Associazione Learning Cities. Era l’anno 2010 (più o meno). 

Dopo una ricerca su Internet relativamente al concetto di  Regioni che apprendono, abbiamo trovato questa definizione tratta da Richard Florida, Toward the Learning Region, Futures, 1995:
“Le Regioni del mondo, in competizione tra di loro, diventano i punti focali per la creazione della conoscenza e l’apprendimento nell’era dell’economia globale ad alta intensità di conoscenza (Learning Regions). Esse funzionano da collettori e magazzini di conoscenze ed idee e forniscono un ambiente e delle infrastrutture materiali ed immateriali che facilitano i flussi di conoscenza, le idee e i processi di apprendimento degli individui e delle organizzazioni”.

Rispetto a questa definizione, Learning Cities Italia ha una posizione “diversa”, ispirata al paradigma della decrescita e ai principi della cooperazione tra organizzazioni e persone, per la costruzione di un futuro migliore, per il bene comune. “O per il buon senso – sottolinea Eric Ezechieli, socio fondatore dell’Associazione Learning Cities quando era presidente di The Natural Step Italia -, cioè per una crescita rigeneratirce della società, dell’economia e della cultura”.

“Come ci spiega Serge Latouche – spiega il socio Nello De Padova – il termine crescita è ancora appannaggio dell’economia. Per la società, per la cultura si deve parlare di sviluppo, di miglioramento, quasi di a-crescita. Si deve iniziare a pensare a una dimensione in cui debba venir meno l’idea che qualcuno cresce a discapito di altri e che la crescita si misura essenzialmente con il denaro accumulato”. Si deve iniziare a pensare a una società dove la competizione sia sostituita dalla cooperazione e dove l’apprendimento sia il fondamento dello sviluppo, del miglioramento.

La crisi economica che stiamo vivendo mette in discussione proprio il paradigma dominante della competizione (economica) – ha detto De Padova – e l’idea che l’apprendimento debba servire per competere e che le città che apprendono siano l’ultima frontiera della lotta fra i territori”. “Come dice l’economista Manfred Max-Neef, la competizione va rigettata come idea perché non solo è una forma molto primitiva di interazione ma è anche destinata a fallire, non ha futuro in quanto il suo obiettivo è l’eliminazione della competizione stessa – puntualizza Eric Ezechieli-. Questa contraddizione fa capire come concepire una economia o una società basata sulla competizione non abbia senso. Ha invece senso la cooperazione, perché un sistema sociale può prosperare solo se ciascun attore crea le migliori condizioni perché gli altri possano prosperare. Oggi gli altri sono l’intera umanità: nessuno può prosperare se non si contribuisce alla prosperità dell’umanità e del pianeta che ci ospita”.

“Tutte le teorie sullo sviluppo delle competenze dell’apprendimento riconoscono che ci sono situazioni in cui è opportuno competere e situazioni in cui è opportuno concorrere (o cooperare) generalmente per produrre conoscenza nuova o rinnovarne di vecchia – dice Antonio Massari, socio fondatore dell’Associazione Learning Cities -. La mia visione dell’apprendimento è che si tratta di una forma di energia: se c’è differenza di potenziale si sviluppa, altrimenti no. E noi non accettiamo una comunità, dentro un contesto, che non apprende continuativamente. La società, oggi, considera la competitività (concetto che sostituirei a quello di competizione perché ne sottolinea la natura potenziale) necessaria per ottenere successo. E in alcuni casi è proprio così. Del resto un posto attraente per viverci perché ha saputo sviluppare un’alta qualità della vita è competitivo”.

Queste convinzioni si concretizzano in una visione della Pubblica Amministrazione Locale nuova. Learning Cities guarda, infatti, agli 8.000 Comuni italiani come a 8.000 imprese dello stesso settore che hanno un vantaggio straordinario, cioè quello di poter ‘copiare’ le une della altre senza essere in concorrenza. “Copiare vuol dire avere la capacità di cooperare e di scambiarsi buone pratiche per la crescita del territorio e un’amministrazione efficace“, precisa De Padova. Ecco perché Learning Cities si è sempre proposta come fulcro di una rete di attori del territorio che hanno attivato buone pratiche e di soggetti interessati a capire come poter applicare tali buone prassi nelle singole realtà. “Il nostro compito è quello di convincere gli attori di un territorio ad apprendere grazie alla cooperazione. In questo modo non c’è competizione, non c’è nessuno che vince o che perde ma c’è la possibilità che tutti ne traggano vantaggi utili al bene comune”, conclude De Padova. Laddove convincere non è un atto di forza, ma la capacità di “fare delle cose” utili e innovative, che stimolino le comunità e le organizzazioni ad agire.

“Il nostro lavoro dovrebbe soffermarsi sulle diverse forme di competitività, sugli scenari possibili, sul buon senso – precisa Antonio Massari -, ma soprattutto sui valori che riteniamo fondamentali per stimolare la dimensione culturale della collettività“. Per far includere paradigmi alternativi (come la decrescita o crescita rigeneratrice, la cooperazione piuttosto che la competizione) nella loro percezione del mondo, della società, dell’economia.
“E’ poi importante avere presente – continua Massari – che, nel caso dello sviluppo, acquisisce particolare rilevanza la componente cognitiva dell’uomo (dimensione culturale), che esprimendo una volontà rispetto al proprio comportamento, diviene interattivamente ed interrottamente elemento determinante nella creazione del contesto. Ciò che l’uomo fa influenza il contesto, il contesto influenzato si trasforma, la trasformazione induce l’uomo a modificare il proprio comportamento. Il passo successivo è come l’uomo influenzerà il proprio comportamento? Tendenzialmente lo farà in virtù del raggiungimento di una condizione a cui aspira, che possiamo definire benessere”.

Un benessere che naturalmente è un valore “individuale” ma che può essere presentato come valore, riferimento comune, verso cui la comunità potrà tendere per un futuro migliore, collaborando.

Altro messaggio che bisogna lanciare è quello di iniziare a ridimensionare il paradigma della scarsità, che ci porta a sprecare in maniera quasi totale il 99% delle risorse naturali, e non solo. “Nella nostra società la competizione è possibile solo se le risorse sono scarse e quindi, quando non lo sono, bisogna renderle scarse – continua De Padova -. Siamo arrivati al punto che anche risorse non scarse come le idee sono state vincolate a logiche di scarsità per poter dare alle stesse un valore commerciale e quindi scatenare attorno ad esse la competizione. Solo quando la società abbandonerà il paradigma della competizione forse si riuscirà ad affrontare la questione dello spreco delle risorse naturali”.

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